di Gianluca Ferrari
Tintoretto “il furioso” o “il terribile”, come lo defini Vasari per il suo modo: visionario, violento, virtuoso, concitato, complesso, drammatico di dipingere con “prestezza” composizioni decentrate, incardinate su direttrici diagonali, audaci scorci, luminismi febbrili, bagliori fosforescenti e colori da “tintore”.
Battezzato con l’acqua della laguna e ruggente come il leone di S. Marco sarà avversato in ogni modo da Tiziano, che vedeva in lui un pericoloso concorrente.
Il veneziano l’avrà vinta sul “pennello di Pieve di Cadore” sopravanzandolo nella prestigiosa committenza del “S. Rocco in gloria”; e quando la peste colpirà il Vecellio,
Tintoretto andrà a casa sua, in una notte infestata dagli “sciacalli”, sfidando il morbo per
comprargli un quadro.
Stravagante, capriccioso, presto e risoluto: "il più terribile cervello che abbia mai avuto la
pittura" dirà ancora Giorgio Vasari (risaputamente poco incline ad omaggiare i non
toscani); tristizia e pazzia son le due parole con cui lo definì l’Aretino, mentre David Bowie
lo definì una “proto-rock star”.
Jacopo negli “effetti speciali” sarà un grande innovatore e negli “affetti speciali” un prolifico
amatore.
Molte donne, molti figli legittimi e illegittimi, ma fra tutta la prole, la da lui più amata, sarà
Marietta “la Tintoretta” una bambina avuta da una prostituta tedesca sifilitica che prenderà in famiglia e istruirà nel dipingere facendone una vera artista, che però morrà giovane con grande disperazione del padre.
“Tintor” mancherà ai vivi il 31 maggio 1594 dopo una vita lunga, competitivamente e
faticosamente compiuta conclusasi con due settimane di febbre, “ratta e breve” come le
sue “sciabolate” di colore.
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