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Artisiti & Divergenti: Antonio Ligabue

Aggiornamento: 15 giu 2023

di Gianluca Ferrari

"Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all'ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore".

Così recita l’epitaffio dedicato ad Antonio Ligabue sulla sua tomba nel cimitero di Gualtieri.

Nato a Zurigo, figlio di emigranti, battezzato Costa, riconosciuto Laccabue, affidato ad una coppia svizzera, consegnato in istituti per giovani disagiati, autolesionista, gravato da problemi mentali e malformazioni fisiche, deciderà di chiamarsi Ligabue e non Laccabue.

Su denuncia della adottiva madre svizzera viene scaraventato dalla Svizzera a Gualtieri perché il primo patrigno adottivo, quel Laccabue che lui odiava ritenendolo la causa della morte della madre naturale (del padre naturale non saprà nulla) proveniva casualmente dal paese della bassa reggiana. Gettato a vent’anni tra le bollenti calure e le mordaci nebbie padane senza conoscere una parola d’ italiano senza un luogo dove ripararsi senza un lavoro, “al tedesch” vive solitario, randagio e selvatico tra le golene in una sorta di arcaica istintiva immedesimazione con la natura. Nell’ inverno del 1927 l’incontro sulle rive del Pò con l’affermato artista Marino Mazzacurati che ne intuisce il talento, gli insegna la pittura cambiandogli in parte il destino e facendone un “espressionista tragico”. “Al Matt” entra ed esce dal manicomio, raggiunge il successo nel 1961, ma viene colpito da paresi dovuta ad una vasculopatia cerebrale nel 1962.

Morirà nel 1965 bestemmiando spaventosamente immobile in un letto del ricovero Carri di

Gualtieri.

Il 15 novembre del 2004, in una notte piovosissima, un lupo viene travolto sulla tangenziale di Parma, gravemente ferito, sanguinante, denutrito, cosparso d’erbe perché aveva attraversato un fiume in piena.

Nonostante le condizioni disperate M15 (nome in codice del lupo) viene salvato e liberato sull’appennino parmense dopo esser stato “ribattezzato” Ligabue in nome di quel disperato attaccamento alla vita che lo aveva accomunato al “disgraziato” pittore.

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